RISPARMIO / COME DIFENDERLO 

Attenti, qui ci spennano

I fondi deludono. Le assicurazioni fanno promesse da marinaio. Che fare? Ecco qualche buon consiglio. Con molte precauzioni 

di Maurizio Maggi 

 
 
 
I vecchi Bot, Btp e Cct? Rendono pochino, adesso siamo tra 3 e il 4 per cento annuo. Investire in Borsa col metodo del fai da te? Rischioso, se non sei un esperto. Affidarsi ai fondi d'investimento? Sì, ma sapendo che difficilmente i gestori sapranno far meglio delle singole Borse o dei singoli titoli di Stato. Puntare alle obbligazioni alternative? Con mille cautele, perché il bidone è dietro l'angolo. Rifugiarsi nelle polizze vita collegate con indici di Borsa per sperare in un rendimento più brillante? Occhio, perché i costi sono elevati e i panieri fatti in modo complicato: portare a casa qualcosa in più del minimo garantito è un mezzo miracolo.

A metà del 2001, per il risparmiatore italiano le scelte si rivelano sempre più rischiose. E il guaio è che a tradirlo non sono solo le Borse, che da un anno hanno innestato la retromarcia, ma soprattutto quelli che dovrebbero indicargli la rotta: banche, assicurazioni, società di gestione dei fondi comuni. Nei giorni scorsi è esplosa la feroce polemica tra Mediobanca e Assogestioni, l'associazione di categoria dei fondi. Il Rapporto annuale sul risparmio gestito elaborato dagli analisti di Piazzetta Cuccia è impietoso con il sistema dei fondi, che nel 2000 ha rifilato cocenti delusioni ai sottoscrittori, e però ha intascato 6,6 miliardi di euro di commissioni e si è portato a casa, secondo la Banca d'Italia, un utile di 1.932 miliardi di lire, più 65 per cento rispetto al '99. 

Hanno deluso, i fondi italiani, perché gli azionari hanno ottenuto una performance peggiore di quella delle Borse (l'indice dei fondi specializzati in azioni italiane, per esempio, ha perso il 13,6 per cento e l'indice Mib ha guadagnato il 4,7) mentre i Bot a 12 mesi, con il loro scarno 3,2 per cento netto, hanno comunque fatto meglio dei fondi di liquidità dell'area dell'euro, che hanno ottenuto un rialzo del 3 per cento. Il segretario generale dell'Assogestioni, Guido Cammarano, ha accusato Mediobanca di usare «una metodologia non adeguata a valutare le performance del risparmio gestito». Anche utilizzando altre fonti, tuttavia, il risultato è sconfortante per i gestori. Secondo le analisi di Morningstar, specializzata nel monitoraggio dei fondi a livello internazionale, quelli che superano gli indici di riferimento sono pochini: degli oltre 250 fondi azionari presi in esame, negli ultimi 12 mesi solo un quinto è riuscito a battere l'indice di riferimento. 

Anche partendo da lontano, i cinque in pagella fioccano: l'indice dei fondi azionari italiani, infatti, in 17 anni ha battuto l'indice di Piazza degli Affari per sei volte, ma ha perso il confronto per 11. Stessa musica se si mettono a confronto il Bot a un anno e la media degli obbligazionari: i fondi vincono solo sette anni su 15. 

Se è così difficile fare meglio degli indici, perché non investire sui fondi o sugli strumenti derivati che replicano esattamente gli indici o i panieri dei principali titoli? In America, dove hanno cominciato gli Spiders, i fondi-indice di Standard & Poors, e i Vipers, quelli della Vanguard di Valley Forge, Pennsylvania, che da piccola società di provincia è diventato un gigante del risparmio proprio grazie ai suoi prodotti-indice collocati a costi bassissimi, il successo è stato così travolgente da spingere anche grandi come Merrill Lynch e Morgan Stanley a scendere in campo, decretando il boom per gli Exchange Traded Funds (i "Fondi trattati in Borsa"). Di Etf, ora, ce ne sono centinaia. I due più famosi, entrambi quotati all'American Exchange, sono il Nasdaq 100 (riproduce l'indice del mercato dei titoli tecnologici, sigla QQQ), e il Spdr 500 (sigla SPY, riproduce l'indice Standard & Poor delle 500 principali società Usa). Hanno raccolto circa 60 mila miliardi di lire ciascuno. Da noi, solo timidi tentativi.

Perché? Il sistema dei fondi italiani è quasi completamente in mano alle banche. Otto gruppi bancari controllano il 70 per cento del patrimonio gestito. L'avvento dei fondi-indice, prodotti a gestione passiva e quindi da far pagare poco in termini di commissione, ruberebbe inizialmente clienti ai fondi tradizionali, a gestione attiva. Risultato: meno spese per i sottoscrittori, meno incassi per le società di gestione. Ecco perchè le banche italiane ci vanno con i piedi di piombo e si tengono strette le commissioni. Spiega Andrea Resti, docente di Matematica finanziaria all'Università di Bergamo e consulente di grandi banche: «Le commissioni, che sono l'unico elemento certo nei risultati futuri della gestione, non sono così facili da conteggiare: la vecchia commissione di gestione, onerosa ma semplice, è in via di estinzione. E spuntano le "commissioni di performance" legate ai risultati. Ma attenzione alla periodicità. Mettiamo che un gestore guadagni per sei mesi e perda per i sei successivi: se la commissione di performance è calcolata su base annua, non prende una lira; se è su base mensile si fa pagare dal cliente anche se i guadagni sono stati effimeri. Molti fondi hanno optato per la commissione mensile...». 

Gli unici due fondi italiani che richiamano il termine indice nel nome, Cisalpino Indice (proposto dal gruppo Bipop) e Padano Indice Italia (promosso dal gruppo Intesa), in realtà non sono proprio dei fondi-indicel. Peccato che il primo sia appesantito da una commissione di gestione annua del 2,4 per cento, addirittura superiore a quelle dei fondi a gestione attiva. Per difendere il loro ricco orticello, le banche italiane presentano i fondi indice o gli strumenti derivati che replicano gli indici (i primi sul mercato sono stati i "Benchmark" di Tradinglab, del gruppo Unicredito) come prodotti per clientela sofisticata. Invece negli Stati Uniti, ormai, è il gestore a essere considerato un lusso, mentre il pubblico che vuole investire in Borsa senza affannarsi alla ricerca delle "best performances" vola diritto in bocca agli Etf, che rispecchieranno alla virgola i risultati degli indici che rappresentano. 

Molta attenzione ai dettagli occorre prestare anche prima di sottoscrivere i prodotti finanziari proposti dalle compagnie d'assicurazione. Secondo Beppe Scienza, il docente torinese che ha appena pubblicato il libro dall'esplicito titolo "Il risparmio tradito", le compagnie ricorrono spesso a promesse da marinaio. Scienza ha raccolto parecchi esempi: come quello di una inserzione pubblicitaria in cui «l'Ina sottolinea come, in sedici anni, 1.000 lire investite nel fondo assicurativo Ina Valore Attivo siano diventate 5.945 lire. Sembra tanto, invece è poco. Nello stesso periodo, le stesse 1.000 lire investite in semplici Cct sono diventate 6.650 lire al netto delle imposte, che invece colpiscono il capitale maturato con la polizza». Alla categoria "mezze verità" appartiene invece il messaggio della Banca Mediolanum di Ennio Doris per lanciare la polizza unit-linked Di Più Money, descritta come un "Investimento garantito in Borsa" con l'aggiunta di un bel "8,20 per cento all'anno fisso per 8 anni". Spiega Scienza: «Peccato che sia garantito solo l'interesse e non il capitale versato. Leggendo la Nota Informativa si scopre che "verrà restituito il 100 per cento del capitale investito" solamente "in caso di andamento positivo del mercato di riferimento". Bella forza! Cosa ci vuole a garantire un investimento, richiedendo però che le quotazioni salgano?».

Anche il terreno apparentemente tranquillo delle obbligazioni può rivelarsi pieno di insidie. La Consob ha ormai quotidianamente nel mirino le cosiddette "reverse convertible" (vedere riquadro a pagina 156), prodotti rischiosissimi collocati spesso con troppa nonchalance. Ma anche tra i compratori di titoli più classici c'è chi soffre. Come le migliaia di risparmiatori che, nel 1998, sottoscrissero obbligazioni Mediobanca Russia con scadenza nel 2008 per 750 miliardi di lire. Siccome la Federazione Russa non onorò un debito con la Germania, l'obbligazione, che doveva garantire un 6,40 per cento annuo, non ha mai staccato una lira di cedola. E per riavere i loro milioncini, svalutati da un decennio d'inflazione, i risparmiatori dovranno aspettare altri sette anni. 

05.07.2001
 
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