I
recenti crack finanziari registrati in Italia hanno colpito un numero
piuttosto elevato di risparmiatori, suscitando polemiche ed
evidenziando una serie di problematiche relative alla gestione del
risparmio stesso e più in generale dell’economia, della finanza
e dei
relativi controlli.
Per discutere di questo argomento che tocca le tasche di molti di noi,
si è tenuto a Milano un convegno patrocinato dall’ACU
(Associazione Consumatori Utenti) e dalla CUB (Confederazione
Unitaria di Base),
presieduto da Pier Giorgio Tiboni, coordinatore nazionale di
quest’ultima, con la partecipazione di docenti universitari ed esperti
del settore.
Gli attuali problemi dell’economia
e del risparmio
derivano anzitutto –
come ha ricordato Andrea Greco, giornalista finanziario -
dall’eccessiva finanziarizzazione dei mercati, dalla concentrazione
sempre più accentuata di gruppi economici multinazionali e dal
contestuale abbassamento dei livelli di controllo. Ciò ha reso
possibili movimenti incontrollati di capitali e mercati, alla base di
fenomeni quali la bolla speculativa della new economy di pochi anni fa,
o l’attuale crollo dei bond, strumenti di investimento obbligazionari
un tempo giudicati estremamente affidabili.
Greco, simpatizzante di Attac Italia,
organizzazione
antagonista che si batte contro le politiche economiche neo-liberiste
dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) e dell’FMI (Fondo
Monetario Internazionale), individua alcune possibili linee
d’intervento: a livello globale con l’abrogazione almeno parziale dei
privilegi dei paradisi fiscali e l’introduzione della Tobin Tax, tesa a
colpire i movimenti di capitali con intenti speculativi, e a livello
nazionale con una profonda riforma del sistema creditizio, anche col
potenziamento della finanza etica grazie ad una legislazione ad hoc, in
ambito di previdenza integrativa e con incentivi fiscali.
Sulla necessità di regole
precise ha
insistito anche Federico Merola,
docente di statistica economica all’università di Viterbo con
esperienza manageriale in banche d’affari e SGR (Società di
Gestione
del Risparmio). Attualmente vi è infatti un’eccessiva
commistione di
interessi fra istituti di credito, società di revisione dei
bilanci e
operatori del risparmio gestito (fondi d’investimento), nonché
fra le
stesse banche e il comparto industriale (si pensi a quanti imprenditori
hanno uomini nei Consigli di Amministrazione del settore del Credito e
viceversa). Questo porta a inevitabili conflitti d’interesse,
diminuzione dei livelli di controllo e inevitabili squilibri dei
mercati e dei meccanismi di concorrenza a favore di operatori
più
spregiudicati e meno trasparenti. Ad esempio, si rischia di finanziare
le imprese non in base alla loro validità in termini di
produttività e
reddito, bensì per i loro legami con le realtà
finanziarie preposte ad
erogare il credito. E’ evidente che in tale situazione le eventuali
responsabilità vanno cercate ai vertici del sistema, non certo a
livello degli operatori incaricati della consulenza ai risparmiatori,
che ricevono le direttive dall’alto senza possibilità di
controllo
sulle politiche finanziarie dei rispettivi gruppi di appartenenza.
Proprio contro le banche punta l’indice accusatore Beppe Scienza,
docente di matematica finanziaria all’università di Torino
nonché autore de “Il risparmio tradito”.
Secondo i dati da lui forniti (a volte in aperto contrasto con quelli
di altri esperti), il problema non è solo circoscritto agli
ultimi ed
eclatanti casi di rovesci finanziari, ma più in generale
all’intero
settore del risparmio gestito.
Secondo Scienza, a partire dal 1984, anno di creazione dei primi fondi
di investimento, questi ultimi hanno sempre reso meno dei rispettivi
mercati di riferimento, sia in campo obbligazionario (dove la resa
è
stata inferiore alla media fra il tasso fisso dei BTP e quello
variabile dei CCT) che in quello azionario, dove la rivalutazione
risulta quasi dimezzata rispetto a quella dei listini dove i fondi
rispettivamente operano. Un fatto che l’accademico imputa a qualcosa
che va al di là della semplice incompetenza (per altro
esecrabile) o
della sfortuna, per sconfinare nella deliberata malafede. A supporto di
ciò cita casi concreti sui quali è intervenuta la stessa
Consob, la
società che controlla l’operatività borsistica italiana.
La sua
conclusione è draconiana: qualsiasi proposta di investimento da
parte
delle banche è fatta solo nell’interesse di queste ultime, per
cui è da
rifiutare, privilegiando invece il fai-da-te.
Un consiglio difficilmente praticabile dalla maggior parte dei
risparmiatori, che non essendo in genere docenti universitari di
economia non hanno la stessa dimestichezza e gli stessi strumenti a
disposizione dell’accademico. Proprio per questo, i loro interessi
devono essere tutelati: dalle banche in primo luogo, e in seconda
battuta dalla Banca d’Italia, che è, o dovrebbe essere,
l’organismo di
controllo del loro operato. Ma lo stesso Scienza e Pino D’Ippolito,
della Presidenza nazionale dell’ACU, hanno ricordato che, mentre le
altre banche centrali (come la Federal Reserve americana) sono in
genere di proprietà esclusiva o prevalente del Tesoro o dello
Stato, la
nostra Banca d’Italia è una SPA le cui azioni sono detenute esclusivamente
da banche e assicurazioni, cioè dalle stesse realtà su
cui dovrebbe
vigilare: un controsenso abbastanza evidente, specialmente se si tiene
conto che i tre maggiori gruppi creditizi italiani (Intesa, SanpaoloIMI
e Capitalia) detengono da soli la maggioranza assoluta.
Ecco allora crescere il ruolo delle associazioni di difesa dei
consumatori: come ha ricordato D’Ippolito, mentre sulle merci
acquistate c’è sempre una garanzia che tutela l’acquirente anche
a
distanza di un certo tempo, questo non vale per i prodotti del
risparmio, cosa assai preoccupante in un ambito dove la maggior truffa
finanziaria italiana è stata perpetrata con l’ausilio di
documenti
fasulli riprodotti artigianalmente, la creazione di decine di
società
off-shore intestate a prestanome e giri vorticosi di capitali sui
paradisi fiscali, senza che le banche creditrici sollevassero la
benché
minima eccezione o sospetto, nonostante le enormi richieste di
affidamento fossero pari a delle millantate liquidità.
Facendo leva su questa
responsabilità
oggettiva degli Istituti di
credito, l’ACU è riuscita ad ottenerne l’ascolto, giungendo ad
un primo
risultato con la firma di un accordo con BancaIntesa per negoziare il
rimborso dei risparmiatori colpiti, fra i quali si è riusciti a
far
rientrare gli stessi operatori bancari, in un primo momento esclusi in
quanto teoricamente consapevoli della rischiosità
dell’investimento. Il
riconoscimento dei diritti di questi ultimi ne evidenzia quindi anche
la buona fede al momento dei suggerimenti di investimento proposti ai
relativi clienti. Sottolineando la loro difesa disinteressata dei
risparmiatori, l’ACU e la CUB concludono cercando adesioni fra questi
ultimi per poter presentare le loro rivendicazioni in maniera il
più
possibile consensuale e rappresentativa
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