Risparmiatori: fate da voi!
Chi si trovasse a frequentare gli scaffali delle librerie dedicati alle
pubblicazioni di carattere economico in questi giorni avrà una piacevole
sorpresa.
Si chiama ‘Il risparmio Tradito’ (edizioni Libreria Cortina
Torino, lire 24 mila) e se il titolo non vi è abbastanza chiaro
il sottotitolo fuga ogni dubbio “Come difendersi da bancari, assicuratori...e
giornalisti”.
L’autore è un matematico torinese di nome Beppe Scienza (nomen
omen, si direbbe), docente all’ateneo sabaudo con alle spalle una serie
pubblicazioni e articoli a carattere finanziario nelle principali testate
italiane.
Leggere il libro di Scienza è (ci si perdoni il paradosso) un
salutare pugno nello stomaco. Numeri alla mano, l’autore ci guida alla
scoperta dei tanti vizi e delle poche virtù di chi gestisce i nostri
soldi.
Sotto la scure di Scienza finiscono le banche , le assicurazioni, un
certo giornalismo compiacente e, ovviamente, i fondi comuni. E’ proprio
su quest’ultimo aspetto che abbiamo voluto approfondire il discorso con
l’autore.
Professor Scienza, lei critica i fondi comuni italiani in modo radicale.
Secondo lei è questi strumenti servono a qualcosa o no?
Guardiamo i numeri.
Nel mio libro dimostro che la stragrande maggioranza dei fondi comuni,
di qualunque categoria fossero, ha fatto peggio degli indici di mercato,
anche sul lungo periodo. Se il risparmiatore investisse da solo in azioni
e obbligazioni ci guadagnerebbe di più, e la presunta bacchetta
magica dei gestori è una leggenda.
Io credo (insieme a molti altri) che gli unici fondi comuni che hanno
senso siano quelli indicizzati: quelli che costano pochissimo e che si
limitano a replicare gli indici di mercato. Ma in Italia praticamente non
esistono ancora.
Si metta nei panni di un risparmiatore che legge il suo libro e si
convince ad abbandonare il risparmio gestito e a fare da sé. Cosa
dovrebbe fare materialmente? E quanto è difficile?
Fare da sé, come spiego nel mio libro, non è molto difficile.
Chi vuole investire sul mercato obbligazionario compri titoli di Stato
invece di pagare un fondo che si limita a fare la stessa cosa. Io consiglio
di dare un’occhiata anche agli altri paesi dell’Area Euro: in Francia ad
esempio ci sono dei titoli di Stato assai interessanti legati all’inflazione.
Come dimostrano i numeri, i ‘vecchi’ titoli di Stato battono i fondi
obbligazionari nella stragrande maggioranza dei casi.
Finchè sono Bot e Btp il discorso non fa una grinza. Ma come
fa a fare da sé chi vuole puntare sul mercato azionario?
Il modo c’è, e non è troppo complicato.
Chi vuole investire sul mercato azionario italiano senza perdere la
testa a comprare e vendere titoli di questa o quella società dispone
di un mezzo piuttosto semplice.
E’ il miniFib, la versione ridotta (cioè pari a un quinto del
contratto base) del future sull’indice Mib30 della Borsa di Milano. Rimando
al mio libro per i dettagli, ma il succo è semplice: il risparmiatore
che voglia ottenere un rendimento allineato a quello della borsa di Milano
ha a disposizione un mezzo relativamente semplice e accessibile: la somma
che in pratica si mette in azioni è di circa 70 milioni (o suoi
multipli).
Bisogna solo imparare come funziona un future e usarlo con un’ottica
di lungo periodo (cioè rinnovandolo regolarmente ogni tre mesi).
Bisogna sfatare la leggenda che il future sia solo uno strumento speculativo.
La stessa cosa si può poi fare sul mercato europeo.
Con la borsa americana è ancora più semplice, perché
esistono delle vere e proprie azioni-indice.
Lei investe i suoi soldi in questo modo?
Sì. E i risultati che ottengo sono superiori a quelli della
maggioranza dei fondi comuni azionari. Di fondi azionari Italia che battano
il Mib30, ad esempio, non ce ne sono molti (a patto, beninteso, di tener
conto dei dividendi e di non fare confronti fasulli come troppo spesso
leggiamo sui giornali).
Vorrei dire con chiarezza che non bisogna essere un matematico per
gestire in questo modo i propri investimenti. Basta entrare nel meccanismo.
Io sostengo anzi che i fondi comuni sono consigliabili solo a chi ha una
notevole competenza e può quindi controllarne in modo critico l’andamento.
Un altro bersaglio dei suoi strali sono le polizze previdenziali.
Qui basta fare i conti: le polizze previdenziali di regola non convengono
affatto.
Ma il discorso sarebbe troppo lungo.
Voglio solo far notare un fatto: sulla stampa economica troviamo dozzine
di articoli che magnificano le virtù della previdenza integrativa
(virtù tutte da dimostrare). Ma in questo coro pressoché
unanime di lodi è quasi impossibile trovare voci che dicano le semplici
cose di buonsenso, ad esempio che prima di investire in una pensione integrativa
sarebbe opportuno comprarsi la casa in cui vive risparmiando sull’affitto
nei decenni successivi!
Caso strano, gli unici investimenti di cui si tessono le lodi sono
quelli gestiti da banche, assicurazioni, sgr e quant’altro. Come se il
mattone non fosse un investimento.
E qui arriviamo a una categoria che esce martoriata dal suo libro:
quella dei giornalisti economici di cui riporta un ampio florilegio di
svarioni, omissioni e strane reticenze. Ci tolga una curiosità:
quanto è stato difficile trovare un editore per un libro così
duro e critico?
Il libro, in un modo o nell’altro, è stato rifiutato da 18 editori.
Ci sono voluti anni per farlo arrivare in libreria, ma le lettere e
le e-mail di tanti lettori (tra cui promotori finanziari e impiegati di
banca in piena crisi di coscienza) mi convincono che ne è valsa
la pena.
|