pag.
33 |
l’intervento
I
fondi hanno fatto molto peggio dei mercati azionari
BEPPE SCIENZA*
La
matematica è diventata un’opinione? A leggere certi dati sembrerebbe
di sì. Prendiamo in particolare il Sole 24 Ore del 10 maggio scorso
che nell’inserto Plus (pag. 38) annuncia trionfante: «Fondi meglio
del Mibtel», ovvero dell’indice di Borsa. Il concetto viene ribadito
sostenendo addirittura che «i guadagni dei fondi comuni sono lo specchio
dei soldi persi dagli investitori faidate» e che «i dilettanti
devono essere sotto l’indice» visto che i professionisti sono sopra.
Ciò
cozza con quanto risulta agli addetti ai lavori, con quanto sostiene da
anni l’autorevole ufficio studi di Mediobanca, con quanto più volte
apparso su Repubblica. Com’è possibile tutto questo? La spiegazione
è semplice e risiede in un grave errore metodologico commesso dai
docenti dell’Università Bocconi, autori del confronto (Andrea Beltratti
e Riccardo D’Antonio).
Non
siamo però di fronte a una dotta disputa fra accademici, appartenenti
a diverse scuole di pensiero. La questione tocca da vicino tutti gli italiani
vittime dell’industria del risparmio gestito e merita quindi di essere
approfondita. In base ai dati relativi all’anno scorso (2002), il risultato
medio dei fondi comuni azionari italiani (-18,75%) dimostrerebbe la capacità
dei gestori di «selezionare i titoli in maniera corretta».
Viene infatti raffrontato con un calo per Piazza Affari del 23,5%. Invece
non è così, perché in realtà un fondo con un
andamento allineato all’indice avrebbe perso solo il 16,6%, come risulta
in modo inoppugnabile dall’indice Mediobanca MTA total return. Analogo
discorso vale per il 2001.
Più
in generale non è vero che gestori hanno fatto meglio del mercato
in tutti gli anni esaminati (19992002): in realtà hanno fatto peggio
in tre anni su quattro (per i dettagli dei calcoli si veda la mia pagina
in Internet all’Università di Torino: www.beppescienza.it).
Ma
cos’è capitato? Semplicemente non si è tenuto conto del regime
fiscale
applicato dal 1998 ai fondi di diritto italiano, cui l’Erario riconosce
un credito d’imposta del 12,5% quando perdono. Ecco perché con un
portafoglio che flette del 10%, la quota del fondo scende solo dell’8,75%
senza nessun merito del gestore. Fra l’altro, com’è logico, le cose
si compensano in fase di recupero delle quotazioni.
Il
grave è che non siamo di fronte a uno svarione isolato, sempre possibile
sulle pagine di un giornale. Purtroppo sono anni che confronti sbilenchi
di questo tipo si ritrovano troppo spesso, tanto sul quotidiano della Confindustria
quanto su moltissime altre testate.
Anzi,
visto che la matematica non è un’opinione, tanto vale conoscere
gli effettivi risultati (negativi) prodotti dalla gestione dei fondi azionari
negli ultimi sette anni. Come appare dalle tabelle a lato, che una volta
tanto tengono conto sia dei dividendi sia dell’impatto fiscale, la conclusione
è una sola: mediamente i gestori cosiddetti professionali hanno
fatto peggio dei mercati dove investivano, non meglio. Spesso molto peggio:
sull’Europa e sull’America sono riusciti a provocare danni nell’ordine
del 4,5% l’anno. Sarebbe interessante sapere in che modo.
*Dipartimento
di matematica dell’Università di Torino
|