la Repubblica - Affari & Finanza          19 maggio 2003
pag. 33 l’intervento

I fondi hanno fatto molto peggio dei mercati azionari

BEPPE SCIENZA*

La matematica è diventata un’opinione? A leggere certi dati sembrerebbe di sì. Prendiamo in particolare il Sole 24 Ore del 10 maggio scorso che nell’inserto Plus (pag. 38) annuncia trionfante: «Fondi meglio del Mibtel», ovvero dell’indice di Borsa. Il concetto viene ribadito sostenendo addirittura che «i guadagni dei fondi comuni sono lo specchio dei soldi persi dagli investitori faidate» e che «i dilettanti devono essere sotto l’indice» visto che i professionisti sono sopra.
Ciò cozza con quanto risulta agli addetti ai lavori, con quanto sostiene da anni l’autorevole ufficio studi di Mediobanca, con quanto più volte apparso su Repubblica. Com’è possibile tutto questo? La spiegazione è semplice e risiede in un grave errore metodologico commesso dai docenti dell’Università Bocconi, autori del confronto (Andrea Beltratti e Riccardo D’Antonio).
Non siamo però di fronte a una dotta disputa fra accademici, appartenenti a diverse scuole di pensiero. La questione tocca da vicino tutti gli italiani vittime dell’industria del risparmio gestito e merita quindi di essere approfondita. In base ai dati relativi all’anno scorso (2002), il risultato medio dei fondi comuni azionari italiani (-18,75%) dimostrerebbe la capacità dei gestori di «selezionare i titoli in maniera corretta». Viene infatti raffrontato con un calo per Piazza Affari del 23,5%. Invece non è così, perché in realtà un fondo con un andamento allineato all’indice avrebbe perso solo il 16,6%, come risulta in modo inoppugnabile dall’indice Mediobanca MTA total return. Analogo discorso vale per il 2001.
Più in generale non è vero che gestori hanno fatto meglio del mercato in tutti gli anni esaminati (19992002): in realtà hanno fatto peggio in tre anni su quattro (per i dettagli dei calcoli si veda la mia pagina in Internet all’Università di Torino: www.beppescienza.it).
Ma cos’è capitato? Semplicemente non si è tenuto conto del regime fiscale applicato dal 1998 ai fondi di diritto italiano, cui l’Erario riconosce un credito d’imposta del 12,5% quando perdono. Ecco perché con un portafoglio che flette del 10%, la quota del fondo scende solo dell’8,75% senza nessun merito del gestore. Fra l’altro, com’è logico, le cose si compensano in fase di recupero delle quotazioni.
Il grave è che non siamo di fronte a uno svarione isolato, sempre possibile sulle pagine di un giornale. Purtroppo sono anni che confronti sbilenchi di questo tipo si ritrovano troppo spesso, tanto sul quotidiano della Confindustria quanto su moltissime altre testate.
Anzi, visto che la matematica non è un’opinione, tanto vale conoscere gli effettivi risultati (negativi) prodotti dalla gestione dei fondi azionari negli ultimi sette anni. Come appare dalle tabelle a lato, che una volta tanto tengono conto sia dei dividendi sia dell’impatto fiscale, la conclusione è una sola: mediamente i gestori cosiddetti professionali hanno fatto peggio dei mercati dove investivano, non meglio. Spesso molto peggio: sull’Europa e sull’America sono riusciti a provocare danni nell’ordine del 4,5% l’anno. Sarebbe interessante sapere in che modo.

*Dipartimento di matematica dell’Università di Torino