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l’intervento
I
tanti rischi, spesso molto nascosti, dei prodotti index-linked
BEPPE SCIENZA*
Esiste
una regola semplice, con pochissime eccezioni. A qualunque proposta d’investimento
delle banche italiane meglio rispondere di no. Persino a quelle apparentemente
meno rischiose. Ciò vale infatti anche per quelle obbligazioni che
da qualche anno vanno per la maggiore, perché apparentemente perfette.
Permetterebbero infatti di guadagnare se la borsa sale, senza perdere se
scende. Tecnicamente si tratta di prestiti strutturati, detti index-linked,
equity-linked o unit-linked a seconda che siano agganciate a indici azionari,
direttamente ad azioni o a fondi comuni.
Sono
titoli che le banche e le reti porta a porta rovesciano a vagonate sulla
loro clientela, imitate da qualche anno dalle Poste Italiane. Delle 362
obbligazioni quotate sono ormai di questo tipo 150, a cui si debbono aggiungere
le centinaia e centinaia di prestiti che (ed è la solita indecenza)
non vengono neppure quotati. Tutto ciò non stupisce. Si tratta di
prodotti che fruttano lucrosi guadagni a emittenti e collocatori, logicamente
a danno dei sottoscrittori. D’altronde il caso delle Cirio dimostra come
le banche italiane riescano a far trangugiare qualunque intruglio ai propri
clienti.
Diffuse
come la gramigna agli sportelli bancari, tali obbligazioni sono quasi assenti
fra quelle comunemente trattate sul mercato internazionale, cioè
i cosiddetti eurobond. Il motivo? Gli investitori esperti del materia sanno
benissimo che non convengono. Anzi, a volerne elencarne i difetti, non
si finirebbe più. Si tratta di titoli non trasparenti, rigidi, cari
e spesso astrusi (vedi la tabella in basso).
Come
si spiega allora che così tanti risparmiatori abbiano comprato ad
esempio le San Paolo Imi 200005 Concerto (ABI 149448) o le BNL 200106 Bis
(ABI 305480)? L’eventuale e improbabile guadagno risulterà dall’andamento
di un coacervo di fondi o sicav, anche 30 diversi, in base a regolamenti
lunghi e di complicatissima valutazione (per chi vuole approfondire www.beppescienza.it).
È
evidente che tali obbligazioni vengono sottoscritte a scatola chiusa, sulla
fiducia, senza capire esattamente di che si tratti.
In
realtà si potrebbe aprire un’ampia parentesi su come l’assenza di
trasparenza permetta ricarichi indecenti. Ma su questo punto basta e avanza
quanto denunciato nel Quaderno di Finanza n. 39 della Consob (liberamente
scaricabile dal sito www.consob.it)
di G. D’Agostino e M. Minenna.
Un
altro è l’aspetto su cui merita soffermarsi, perché regolarmente
trascurato dalla stampa economica. Quello che è veramente balordo
in questi titoli è che espongono a rischi che un normale risparmiatore,
di sua iniziativa, non si accollerebbe mai. Chi infatti li sottoscrive,
in pratica mette i suoi soldi in un’obbligazione senza cedole e, in misura
minore, in opzioni. Ma le opzioni sono come scommesse sul valore futuro
di indici, azioni o altro, con le quali è facilissimo subire perdite
del 100%. In tal caso l’obbligazione viene sì rimborsata, grazie
alla prima componente, ma tutto il resto è perso.
È
questo che non va. Un risparmiatore prudente acquista obbligazioni, azioni
e immobili. Ma non opzioni, se non tutt’al più difensive, così
come non punta neanche l’1% del suo patrimonio alla roulette o al baccarà.
Che
dire invece delle neonate Rasbank Extra Large 2372007? Perchè mai
andare a scommettere che nessuna di 30 azioni, molto diverse, scenda più
del 30%? È un’idea ben astrusa, così come strampalate sono
le BNL 200004 Nikkei Barrier Cliquet (ABI 300516). Sono indicizzate alla
Borsa di Tokyo, ma le salite vengono azzerate se superiori al 21%! Anziché
opzioni più o meno arzigogolate, tanto vale acquistare direttamente
qualche titolo azionario.
Conclusione:
alla banca che propone obbligazioni «che permettono di guadagnare
senza rischi, se la borsa sale», non rispondiamo «No, grazie».
La risposta che si meritano è un no secco, senza nessun ringraziamento.
*Dipartimento
di matematica dell’Università di Torino
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