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«Il boom dei titoli che "salvano" dall’inflazione»
Il mercato offre agli investitori prodotti
che offrono un rendimento agganciato ma sempre superiore al carovita.
BEPPE SCIENZA*
*Dipartimento
di matematica dell'Università di Torino
Sarebbero molto più noti, se
il Tesoro italiano facesse pubblicità ai suoi prestiti con inserzioni a
tutta pagina, come fa quello tedesco. Invece moltissimi risparmiatori
conoscono i tradizionali Buoni del tesoro poliennali (Btp), ma ignorano
l’esistenza dei Btpi, dove la "i" sta per indicizzati all’inflazione. I
titoli obbligazionari con tale caratteristica sono detti reali, perché
agganciati a indici non finanziari (Bot, euribor ecc.), bensì reali e
in particolare ai beni e servizi che formano il paniere usato per
misurare il costo della vita. A quanti poi insistono a non chiamarli
titoli reali ma in inglese inflation linked, ci sarebbe solo da
chiedere perché si vergognino di parlare come mangiano.
Alternative possibili. Un risparmiatore che voglia cautelarsi dal rischio
inflazione ha più soluzioni. Il vero problema è semmai che non le
conosce. Dal febbraio 2006 esistono addirittura buoni fruttiferi
postali indicizzati all’inflazione italiana, con tutti i vantaggi di
tale genere di titoli. In particolare il diritto al riscatto in ogni
momento con la certezza di ricevere integralmente il capitale investito
e, passati 18 mesi, anche interessi e rivalutazioni capitalizzati. A
mediolungo termine tale soluzione renderà però meno dei corrispondenti
di titoli di stato od obbligazioni. Sono invece da evitare le
obbligazioni di volta in volta collocate dalle banche. Sono
praticamente sempre molto inferiori a quelle già in circolazione. Lo
conferma il fatto che scendono regolarmente di prezzo, quando vengono
quotate.
Titoli di Stato. I Btpi hanno scadenze diverse e non c’è
motivo per aspettare una nuova emissione, anziché comprare quelle già
in circolazione. La tabella in pagina ne riporta quattro con durate
circa dai 2 ai 27 anni, oltre a un’emissione francese e una greca. Il
loro vero difetto è l’indicizzazione ai prezzi dell’area dell’euro
anziché italiani. Di per sé esiste un titolo di Stato italiano così
indicizzato: sono le Infrastrutture (Ispa) 2,25% 31-7-2019 che però il
Tesoro italiano non si è curato di quotare in Italia, per cui molte
banche hanno facile gioco a rifiutarle a chi gliele chiede. Tutti
questi titoli hanno una struttura particolare: il capitale – e cioè il
valore nominale – cresce in parallelo con l’inflazione; in più si
incassano una o due volte l’anno interessi a un tasso fisso, ma
applicato al capitale periodicamente rivalutato. Su un’inflazione del
3,5% il loro rendimento nominale a scadenza è attualmente intorno al 6%
lordo, che non si può definire una miseria. La loro redditività reale
netta è invece intorno al 2% annuo, tolte cioè le tasse e l’inflazione.
Vendendoli prima della scadenza, la performance può risultare maggiore
o minore.
Obbligazioni societarie. Ne esistono parecchie e sono
congegnate in una maniera diversa, più semplice ma meno protettiva.
Infatti pagano interessi ogni tre, sei o dodici mesi in misura pari
all’inflazione con una qualche maggiorazione. Il capitale resta invece
immutato fino a scadenza e quindi in termini reali si riduce. Per
evitare ciò, occorre reinvestire gran parte degli interessi che si
incassano. La tabella riporta tre titoli: uno che rende moltissimo,
quasi il 10% lordo, ma con qualche pericolo d’insolvenza e due
obbligazioni quotate in Italia senza rischi di default. Per queste il
rendimento è leggermente superiore ai Btpi, come è logico.
Fondi comuni ed Etf. Esistono anche fondi comuni che offrono una gestione in
titoli indicizzati all’inflazione: un risparmiatore prudente li eviterà
con cura. È infatti presumibile che chi mira a una difesa
dall’inflazione punti anche alla massima sicurezza e questa è possibile
solo possedendo direttamente i titoli desiderati, senza dare deleghe a
nessuno, alla luce anche delle pessime esperienze passate. Meno
pericolosi ma sconsigliabili sono pure gli Etf che investono in un
paniere di titoli reali. Qui i rischi di cattiva gestione sono minori,
ma hanno comunque poco senso perché comportano inutili costi
aggiuntivi. Gli Etf hanno ragion d’essere per investire in mercati
azionari ed evitare la concentrazione su troppi pochi titoli, di fatto
agganciandosi così a decine o centinaia di azioni. Qui invece non c’è
motivo di diversificare tanto. È ragionevole limitarsi a quattro o
cinque titoli o addirittura a uno solo, purché sicuro. Un risparmiatore
che mettesse tutto per esempio nei Btpi 0,95% 1592010 o in un buono
postale indicizzato all’inflazione non si comporterebbe affatto in modo
azzardato.
Tabella con alcuni titoli nel file in formato RTF a parte.
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