pag. 18 |
BEPPE SCIENZA* *Università di Torino
L’investimento che meglio difende dall’inflazione non è quotato in Borsa, non si sottoscrive alle Poste né viene offerto dai promotori finanziari. È nominativo, non trasferibile e può durare fino all’età della pensione. Si tratta infatti del tanto discusso Tfr (Trattamento di fine rapporto). Basti dire che il suo potere d’acquisto, al netto delle imposte, si conserva persino con 30 anni d’inflazione al 7%, equivalenti a un aumento complessivo del costo della vita superiore al 650%. Nessun altro investimento è così difensivo, per cui non appare furba la soluzione d’incassare il Tfr alla fine di ogni anno, come accade per esempio a San Marino.
Un ritorno dell'inflazione? Da parecchi mesi gli aumenti medi dei prezzi sono contenuti. Però la paura di un anno fa di una lunga deflazione ha ceduto il passo alla preoccupazione contraria. Una forte inflazione appare come una soluzione per ridurre il peso del debito pubblico, accresciuto dai salvataggi bancari seguiti alla crisi finanziaria. Certo che anche tale previsione è incerta: un’opposta scuola di pensiero ipotizza prezzi stabili per parecchi anni, come nel Giappone dove attualmente sono al livello del 1993. Comunque in ogni caso un risparmiatore prudente fa bene a prendere in seria considerazione gli investimenti legati al costo della vita. A medio-lungo termine potranno anche risultare meno redditizi di altri, ma di certo sono meno rischiosi. Tfr a parte, sono di tre tipi quelli che offrono tale indicizzazione: obbligazioni societarie, titoli di Stato e buoni postali, in ordine decrescente di rendimento. Nell’ambito delle prime si trovano i più redditizi. «Sul mercato secondario, sul Mot e ancor più su Eurotlx, vi sono titoli che rendono a scadenza anche il 3% sopra l’inflazione di riferimento – osserva Marco Vinciguerra, da alcuni lustri gestore obbligazionario – come nel caso di alcune emissioni di Morgan Stanley, a volte però con regolamenti alquanto complessi». In un’ottica di massima sicurezza, ci concentreremo però sui titoli statali. Quelli emessi dall’Italia sono principalmente i Btp-i cioè i Buoni del tesoro poliennali indicizzati all’inflazione dell’eurozona. A essi se ne aggiunge uno agganciato a quella interna: è la Repubblica Italiana 2,25% 2019, emessa originariamente da Infrastrutture spa (Ispa), purtroppo non quotata in Italia e acquistabile solo se l’intermediario (banca, sim ecc.) ci mette un po’ d’impegno.
Perplessità dei banchieri centrali. L’ultimo numero del Bollettino mensile della Banca Centrale Europea si domanda se l’inflazione implicita nelle quotazioni dei titoli reali sia troppo alta (Dicembre 2009, pag. 44, edizione italiana). Cosa ciò significhi in concreto lo si vede più facilmente seguendo una metodologia seguita è un po’ diversa, ma che non cambia la sostanza del discorso. Cioè dal confronto fra i Btp-i e i normali Btp a tasso fisso, privi di qualsiasi forma d’indicizzazione (vedi tabella). Così ad esempio col titolo indicizzato che rimborsa nel 2019 si avrà la meglio rispetto ai normali Btp 4,25% 2019 con un’inflazione media da adesso ad allora sopra il 2%. Al che uno può chiedersi: «Ma come? L’inflazione deve raddoppiare perché io non ci rimetta?». Quella a dicembre 2009 è stata infatti lo 0,9% per l’eurozona e l’1% in Italia. Certo che puntare sui titoli indicizzati all’inflazione è una scommessa, ma è una scommessa con cui è difficile perdere molto; anzi è comunque molto improbabile perdere. Mentre coi titoli a tasso fisso ci si rimetterà molto, se l’inflazione si impenna.
Meglio il Tesoro o le Poste? Significativo per i Btp-i il rendimento netto reale a scadenza, cioè tolte imposte e perdita di potere d’acquisto. Ora esso è nell’ordine dell’1,5-2% annuo a seconda delle scadenze, a parte quelle brevi. Con titoli lunghi è però possibile vedere scendere la loro quotazione, in particolare se salgono i tassi d’interesse nominali. Per evitare tale rischio c’è una soluzione, ritagliata su misura per i risparmiatori italiani. Sono i buoni fruttiferi postali indicizzati all’inflazione e garantiti dallo Stato. È vero che a parità d’inflazione europea e italiana renderanno di meno. In pratica quanto l’inflazione, senza l’1,6% annuo aggiuntivo dei Btp-i 2019 (vedi tabella). Ma danno diritto al rimborso senza nessuna perdita nominale, neanche per commissioni o simili, qualunque giorno; anche l’indomani dell’acquisto. E dopo 18 mesi è assicurata anche la rivalutazione maturata.
|