Morningstar
 
 Sara Silano  2003-07-25

Questioni mal poste

Puntualmente, anche quest’anno, è tornata la polemica tra Mediobanca e Assogestioni sul rapporto sull’industria del risparmio. Ma non sono i Bot la medicina per risanare i portafogli degli investitori, compromessi da tre anni di Orso.

Per i fondi, il rapporto Mediobanca sul settore è diventato il tormentone estivo. Per il terzo anno consecutivo, l’industria del risparmio ne esce perdente, perché quello che si deduce dalle statistiche, riferite a 1.076 fondi e sicav, è che, nel 2002, il tasso medio di rendimento è stato negativo per il 7,9% a fronte del +2,8% dei Buoni ordinari del Tesoro (Bot) a dodici mesi. Dunque, era meglio investire nei “sicuri” titoli di Stato? 

Assogestioni ribatte, ormai da anni senza ottenere ascolto, che la metodologia è sbagliata, perché i dati sono eterogenei. Non si può confrontare, ad esempio, l’universo dei fondi azionari, la cui performance risulta negativa per il 30,7% con il Mib storico (-20,8%) e neppure con l’Msci World (-32,7%), perché la tipologia di fondi che investono in Borsa è assai variegata, in termini di settori e di aree geografiche. Analogamente, gli obbligazionari includono titoli con scadenze e qualità del credito diverse, dai meno rischiosi governativi investment grade agli high yield. 

Il punto, però, è un altro. La fotografia dell’industria dei fondi, scattata ormai da dodici anni da Mediobanca, è per i piccoli investitori un buon strumento per fare il check up di portafoglio e scegliere come far rendere i propri risparmi? Non proprio. Se è vero che 100 euro investiti nel 2002 in Bot ora sarebbero diventati 102,8, analogamente al rendimento dei fondi obbligazionari nel medesimo periodo, chi avesse investito cinque anni fa in fondi azionari specializzati sulla Borsa di Milano avrebbe ottenuto un rendimento negativo medio del 7,1%, contro un –33% del Mib30. Senza contare che alcuni fondi hanno registrato performance positive per oltre il 10%. E, fa notare Assogestioni, più del 50% dei fondi ha dato rendimenti superiori al benchmark per diversi comparti azionari e obbligazionari a lungo periodo. 

Dire che i Bot sono meglio dei fondi è un modo fuorviante di porre il problema delle forti perdite subite dai risparmiatori dal 2000. L’errore compiuto negli ultimi anni non è stato quello di scegliere i fondi piuttosto che i titoli di Stato o le azioni, perché anche chi ha optato per il fai-da-te è rimasto scottato, e non poco, dal crollo dei mercati. Inoltre, come si legge in una nota Assogestioni “nella storia nessun fondo è mai fallito, a differenza di società quotate e singoli emittenti di strumenti finanziari”. 

Gli investitori in fondi hanno, invece, pagato le rigidità del mercato italiano, nel quale le cosiddette piattaforme aperte, che danno la possibilità di scegliere tra prodotti di case diverse, non sono mai decollate su larga scala per la posizione dominante dei gruppi bancari. E hanno pagato soprattutto gli squilibri di portafoglio, l’eccessiva esposizione sui fondi tecnologici, acquistati quando le quotazioni erano già ai massimi, l’influenza delle mode, indipendentemente dai propri obiettivi di investimento. Quella del risparmio gestito è un’industria solida, con 8 milioni di investitori e quasi 1.000 miliardi di euro gestiti. Più che sparare a zero sui fondi, è quindi necessario ripensare le logiche di costruzione del portafoglio e relazione con il cliente. Serve anche più competitività non solo a livello di distribuzione ma anche tra le case di gestione per far sì che la raccolta confluisca nei fondi veramente migliori.
 

Sara Silano è Vicecaposervizio di Morningstar in Italia. Per commenti e osservazioni potete scriverle all'indirizzo silano@morningstar.it